La locomotiva

La locomotiva

La saturazione del sangue è scesa a 94. Dito. Ecco il dito. Misura, Giuli. Giuli, il saturimetro, ecco. Bip bip bip. 93. Mmmmmmmmmmmmmm. Inspiro forte. Mmmmmmmmmm. Mi tappano il naso. Faccio rumore, non respiro. Sfiatatoio. Fffffffffffhhhh.

Goccioline sulla tempia, goccioline sul collo. Giuli mi asciuga col fazzoletto. Stringo il giochino tra le mani, una cordicella che si arriccia, una spirale di plastica lunga e stretta. La faccio passare tra le dita, su giù su giù. Mmmmmmmmmm. Su giù su giù su giù. Mmmmmmm.

Provo a guardare lontano. Ombre opache, sagome. La mano di Giuli. Sto bene, pollice su. Ho solo caldo, sudo. Faccio un po’ fatica a respirare. Febbre 37.5 dicono. Vorrei tossire. Mkkkkhhhh. Vorrei tossire ma non riesco. Rimane tutto lì, in mezzo al petto. Mkkkkkkhh. Faccio respiri piccoli. Piccoli piccoli. Dove sono gli occhiali? Sagome.

 

Dottore, la saturazione scende. Che faccio?

Sotto i 90 chiamo l’ambulanza. Ho capito.

Dito, Giuli, il dito. Misura.

Saturazione 91.

 

Sto andando da una zia, la domenica andiamo a farle visita. Parlo tantissimo, ho sette anni. La scuola mi piace. Il tempio valdese, mi piace. Il pastore, non mi piace. Le caramelle, sì. Ho i calzoni corti, è estate. La zia mi dice che sono un ciaciaròn. No, sono le chou de maman, le dico io. Mamma sorride.

Mmmmmmmmm. Fatica fatica. Ho male alla schiena. Inclinato, 45 gradi. Ho un tubicino nella pancia, sto collegato a questa pappa dodici ore al giorno. Mangerei di tutto, crème caramel almeno. La Giuli ci ha provato fino all’ultimo a darmi cose buone col cucchiaino, poi con un siringone. Mi è caduto un dente davanti, un buco perfetto. La bocca non la apro più. Ho le mascelle serrate. Dicono sia colpa di Ernesto. Poi non sono più riuscito neanche a deglutire. Mkh mkh. Vorrei riuscire a fare almeno un colpo di tosse. Rimane tutto qui.

 

89. Devo chiamare l’ambulanza.

Amore, devo chiamare l’ambulanza, ok?

Pollice su. Ok. Canto, i suoni escono dal naso.

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,

Con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,

Quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,

Ma nella fantasia ho l'immagine sua:

Gli eroi son tutti giovani e belli,

Gli eroi son tutti giovani e belli,

Gli eroi son tutti giovani e belli...

Matt la canticchia con me, un anno fa dicevo tutte le parole. Tra pochi giorni è un’altra volta Natale. Giuli, Giuli, non mi lasciare. Dammi la mano, la tua mano, sempre.

 

 

Adesso ti portano in ospedale, Andrea, hai capito?

 

Indice: no! Non ci voglio andare in ospedale, Giuli.

 

Che posso fare, amore per favore, resisti.

Seguo l’ambulanza con la macchina. Per favore, amore.

 

 

Chiudo gli occhi. Pollice su. Giuli piange, nell’incavo del collo. Profuma del suo odore, delle montagne, di terra. Il mio amore. Amore della mia vita, non piangere. Mmmmmmmm. Respiri piccoli, l’odore dei capelli e delle lacrime nelle narici. La cosa più bella che abbiamo fatto sono i figli. Vero, Giuli? Ti ricordi quando Luca era nel camperino, quel Westfalia giallo che ci hanno poi rubato. Eravamo al mare, faceva caldo. Lui là dentro che piangeva, piangeva. E noi a parlare coi turisti. Lascialo piangere. Poi a un certo punto hai avuto come un fremito e sei andata a vedere, per un po’ non si strozzava con la rete in cui l’avevi messo. Era paonazzo. Poveri figli. Che sciagurati.

I figli sono la nostra allegria, Giuli. Ma la mia vita sei tu.

 

 

Sì, vi seguo con la macchina. Fate piano.

Prende un sacco di medicine, vi devo portare le medicine?

Magari dopo.

Ha la PEG per l’alimentazione.

Non parla. Fa sì e no col pollice, ma capisce tutto.

Per favore, fate piano. 

 

 

Mi dispiace, Giuli. Mi dispiace che mi portino via. Sei stata brava in tutto. Da quando è arrivato questo Ernesto nelle nostre vite, non mi hai mollato mai, mi sei sempre stata accanto. E quando mi chiedevi «che voto dai alla tua vita?», ti facevo segno con le dita «otto». Otto, amore, nonostante Ernesto, questo infame. Chi poteva immaginarsi che mi sarebbero venuti a prendere con una barella, mi avrebbero caricato su un’ambulanza e avrebbero messo pure la sirena? Corro corro corro in bici. Ho sedici anni. Mi hanno preso nella squadra agonistica. Corro sulla bici, sono tutto proteso sul manubrio. Sfreccio. Per questa città piatta, poi prendo per le valli e salgo in montagna. Voglio arrivare in fretta a casa dei nonni, dove c’è il primo tempio valdese. Amo l’aria sul viso, la tutina aderente, la mia bici. Sono un tutto col mondo, sono lanciato verso il futuro, faccio andare le gambe, il cuore pompa, il corpo è una macchina perfetta. Pedalo pedalo. Pedalo pedalo come nel nostro viaggio in Scozia. La Giuli e la bici. Quanto ero felice. Un materassino in due, tagliato a metà, un pezzo io e un pezzo tu. La tendina, gli zaini leggeri. E il verde, quattro parole d’inglese.

 

Percorso Covid.

Due sintomi su tre, febbre e saturazione bassa.  

 

La Giuli dice «è impossibile che sia covid, non usciamo di casa, non vediamo nessuno». «Signora è la procedura».

Non la fanno entrare. È meglio che tu non venga, amore, che poi ti ammali anche tu.

Ciao, Giuli. Sto qui buono buono, sul letto, credo ci siano altre persone attorno. Poi mi passa, Giuli. Mi hanno messo qualcosa nel naso. Ossigeno. Sento che qualcuno mi fa domande. Non vedo. Non voglio sentire. Sono stanco.

 

Da quando Ernesto si è presentato nella nostra vita, ne ho fatte di cose strane. Adesso cambio la lampadina! Prendo la scala, la poggio al muro, inizio a salire i pioli e… voglio salire, lo so come si fa a salire, però cado all’indietro, come un albero a cui a un certo punto cedono le radici. Piombo al suolo, con un tonfo.

Dai, compriamo un camper nuovo! bello compatto, un furgonato. Giuli, adesso che la casa editrice è fallita e mi hanno mandato in pensione ci giriamo il mondo! Chi se ne frega di Ernesto, è appena arrivato, è piccolo piccolo. Giuli è felice, ha sempre delle belle gambe, quel viso valtellinese che è la copia di Virginia Woolf.

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé. Quanto mi piaceva leggere. L’estate, dopo il lavoro, scappavo dal grigio di Torino e vi raggiungevo in montagna. Prima di cena, col sole che si abbassava, mi sedevo di fuori e aprivo un libro di nascosto da mio papà che faceva andare la macchina del legno, non avevo voglia di aiutarlo. Era il mio momento di libertà, quell’angolo di tempo rubato a te e ai bambini. Qualche mese fa i ragazzi mi hanno regalato un abbonamento agli audiolibri, gli dispiaceva che non riuscissi più a leggere. Quanti ne ho ascoltati? Non lo so più. Sono bravi i nostri ragazzi. Sono proprio dei ragazzi d’oro, mi sa che non gliel’ho detto abbastanza. Ci hanno sopportati, a me e a Ernesto.

 

Ernesto adulto mi portava a uno stato di euforia incredibile. Prendeva forza da un mix di pillole, l’Ernesto sfrontato e spaccone. Ti ricordi ad Antibes, in Costa Azzurra? C’è una scogliera sul mare, quando ci sono le onde alte chiudono il cancello di accesso. L’ho visto da lontano che era chiuso e ho iniziato a correre. Volevo scavalcare. Mi sono lanciato su quel cancello! Adesso vado di là, vado di là! Voglio sfidare le onde! Matteo mi gridava contro, ma io correvo e mi arrampicavo. Mi ha preso al volo da dietro, per un soffio non mi sono piantato a terra. Che stronzo, Ernesto. Senza di lui non avrei mai fatto una cosa così, mi faceva uscire da me, poi mi vergognavo. Io sono uno preciso, Giuli, lo so che mi perdonavi perché sapevi che ormai in quel corpo non c’ero solo io, lo abitava anche qualcun altro che cresceva velocissimo.

 

 

Andrea, mi sente? Andrea, lei ha una polmonite batterica.

Per favore mi faccia un segno se mi sente.

Niente, il paziente non risponde alle domande.

Dall’RX al torace risulta una pleurite, sembra essere lì da tempo.

Abbiamo fatto il tampone, è negativo.

Adesso la spostiamo in un reparto pulito,

poi la sottoponiamo a una cura di antibiotici.

 

 

Mi muovono. Il letto si muove. Non vedo niente. Qualcuno ha detto qualcosa, non ho voglia di ascoltare. Quanto mi avete lasciato lì? Un giorno? Due? Adesso ho di nuovo il mio giochino, la cordicella a spirale, quella stretta. L’avrà portata Giuli? Almeno posso far andare le mani su un oggetto che mi piace. Mi piacciono queste curve piccole e sottili, le seguo tutte con l’indice e il pollice, su e giù.

Mi spostano, mi puliscono. Mi lasciano giù, sdraiato. Ma devo stare a 45 gradi, per la PEG. Se mi lasciano giù non scende bene l’alimentazione. Infermiera, lei non sa come funziona la PEG? Però sto meglio. Mi sembra di stare meglio. In questa stanza sono da solo. C’è il covid là fuori, non può venire nessuno.

 

 

Sta nevicando Andrea. Buon Natale.

 

 

Qualcuno dice buon Natale. È il primo Natale che passo da solo. Alla Vigilia si partiva per la Valtellina, la mattina i bambini aprivano i regali e a pranzo c’era l’arrosto della nonna Pina. Quella Pina morta nell’orto mentre coglieva i pomodori. Che bella morte, Pina. Una grande uscita di scena. Senza drammi, malattie. Sei proprio la degna madre di mia moglie, una santa. E il Beppe… come stai, Beppe? Sono felice che finalmente ti sei trovato una ragazza, un colpo grosso, una di vent’anni più giovane che ti sopporta. Beppe il fratellino della Giuli, mio fratello. Solo con te potevamo andare a sciare fuori pista. Si risparmiava io e la Giuli per comprare casa, e allora la mia tenente di ferro tagliava su tutto e, se si facevano vacanze, non si spendeva niente. E giù per le montagne con gli sci ai piedi, via per i boschi a cercar funghi! Quanto mi piacerebbe fare una passeggiata in montagna. La scorsa estate la Giuli mi portava in macchina sulla Panoramica. Mi faceva scendere, le mettevo un braccio attorno al collo, lei mi stringeva la vita e facevamo un po’ di passi, per ricordarci com’era che si faceva a camminare l’uno accanto all’altra, abbracciati.

 

 

Andrea, amore mio, mi hanno fatto entrare.

 

 

Ecco la Giuli. La Giuli piange, io apro gli occhi più grande.

Ti vedo Giuli, ti vedo! Respiro forte, accelero, canto.

E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano

Che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:

Ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,

Sembrava avesse dentro un potere tremendo,

La stessa forza della dinamite,

La stessa forza della dinamite,

La stessa forza della dinamite.

 

Canti? Che bello il mio amore.

Io piango e tu canti. Come stai?

 

Pollice su. Pollice su perché sei arrivata.

 

Mi spiace Andrea che stai qui, ecco, vengo vicina al tuo orecchio.

Mi spiace che stai qui da solo, ti pensiamo tanto.

Ti voglio dire un sacco di cose, prima di tutto che ti amo.

Andrea metticela tutta, Andrea raccogli le tue forze, sei il mio amore.

I ragazzi ti pensano, anche i tuoi genitori, Arlette e Giulio, loro ti pensano tanto. Aspettiamo tutti che ti facciano uscire.

I medici dicono che la febbre non ce l’hai più.

Lo sapevo che non potevi avere il covid.

Ti hanno fatto un altro tampone, sempre negativo.

Dicono che rispondi bene agli antibiotici, che fra qualche giorno torni a casa.

Quindi tieni duro, eh? Vogliamo che torni a casa.

Che torniate a casa, tu ed Ernesto.

A me va bene, mi va bene che siate in due là dentro.

Mi va bene Andrea, ci penso io a te, mi prendo io cura di te.

Sei la mia vita, non sei un peso.

Qualche volta mi fai arrabbiare, ma lo so che non sei tu, è Ernesto.

Ecco, mi fate arrabbiare voi due insieme.

Però poi mi siedo un attimo sulla poltrona, accendo due candeline e guardo dalla finestra e il cuore è in pace, sapendo che sei nella stanza di là.

Faccio due passi e torno da te.

Si erano appena curate le piaghe, ma qui ti tengono giù…

adesso ti alzo lo schienale, deve stare a 45 gradi.

Dopo lo dico all’infermiera e anche al medico.  

 

Mi piace quando la Giuli mi dà i bacini e mi parla fitto fitto all’orecchio.

 

Allora, Andrea, mi raccomando.

Ti ho portato un pupazzetto così puoi giochicchiarci con le mani.

Lascia stare il tubicino della PEG, non fate gli scemi, tu ed Ernesto.

Se i medici ti fanno le domande, rispondi.

Che poi pensano che non ci stai con la testa.

 

Indice: no! Coi medici non ci parlo.

Mi fanno stare qui, voglio tornare a casa.

 

Andrea, non farmi arrabbiare.

Rispondi ai medici, per favore?

 

Mmmmmmmmmmmmmm.

Va bene, lo faccio solo per te.

Pollice su.

Bravo!

Vuoi vedere i ragazzi?

Facciamo una videochiamata?

 

 

Pollice su. Mmmmmmmm. Respiro affannoso, i ragazzi. Quando è nato Matteo, la Giuli era sempre triste. Solo i primi mesi, però. Mica mangiava quel bimbetto, piangeva piangeva, eppure era la nostra gioia, ci si faceva il bagno in tre nella vasca della casa vecchia. Tutti a giocare con la schiuma. Poi si girava attorno al tavolino del soggiorno cantando canzoni e mimando gli animali. La Giuli cercava di studiare di notte, ha dato ancora qualche esame all’università, poi abbiamo deciso di fare un altro figlio. Quando è arrivato Luca pesava quasi cinque chili, non so come se l’è portato dentro la mia Giuli, magrolina. E lui mangiava e dormiva, un sogno. E poi andavamo in bici, io e i ragazzi. E quando sono cresciuti abbiamo comprato un camper più grande. Siamo andati in Norvegia, abbiamo visto le renne, i giorni senza fine, abbiamo nuotato nell’acqua fredda delle Lofoten.

 

 

Papà, ti vogliamo bene.

 

E sul binario stava la locomotiva,

La macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,

Sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno

Mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio,

Con forza cieca di baleno,

Con forza cieca di baleno,

Con forza cieca di baleno...

 

 

Lo so che ormai non canto più, mugolo. I ragazzi ridono, che numeri che faccio per farli ridere. Li prendo in giro, come posso. A luglio, era il compleanno della Giuli, eravamo tutti in cucina. Loro mangiavano la torta. C’era la ragazza di Luca vicino a me, aveva un vestito giallo lungo fino al ginocchio. Mi sono allungato dalla poltrona col braccio, la parte di lei che avevo più vicina era il polpaccio. Mi piace la pelle liscia. L’unica cosa con cui riesco ancora davvero a vedere è il tatto. Luca mi ha sgridato, la Eli rideva, ero mortificato. La Eli allora ha allungato un braccio verso di me, ho preso a farle i grattini.

È stato lì che la Giuli ha tirato fuori la storia dell’amante e l’ha raccontata ai figli. Ero in soggiorno qualche mese fa, la Giuli mi ha chiesto a che pensassi, «alla mia amante, alla mia amante, alla mia amante». Ancora riuscivo a dire delle parole, qualche mese fa. Lei ha sorriso, mi ha detto che preferirebbe vedermi stare bene con un’amante piuttosto che ridotto così col mio Ernesto. A me invece va bene così, perché per quell’amante passeggera del sabato mattina ho rischiato di perdere la mia Giuli, la compagna della mia vita.

 

 

Amore io adesso devo andare, non mi fanno stare di più.

 

No, non ti faccio andare.

Ti stringo ti stringo fortissimo.

La mano, il braccio.

 

Andrea, per favore, devo andare.

Tu guarisci presto.

Adesso ti metto il pupazzino che ti ho portato tra le mani.

Ti fa compagnia, ecco stringi lui.

Giuli, non andare ti prego. Non staccare dito per dito la mia mano dalla tua. Giuli non mi lasciare qui. Io non voglio parlare con nessuno che non sei tu, Matteo, Luca. Per favore, voglio morire a casa mia. Fatemi morire a casa mia. Giuli portami a casa. Pupazzino, stringo. Giuli piange, sento che tira su col naso mentre esce dalla porta. Mmmmmmmmmmmmmm.

 

Mi manca il mio lavoro. La Giuli dice che forse è per quello che mi sono ammalato. Mi piaceva così tanto stare in mezzo a pile di carta, parlare con i colleghi, l’odore di inchiostro delle copie stampate. Avevo sempre qualche bella rivista da portare a casa ai bambini e alla Giuli. La nostra casa è piena di libri. La libreria che ha fatto mio padre in legno scuro non li contiene tutti, eppure va lungo tutta la parete del soggiorno. I libri sono scrigni di immaginari e mondi, il modo di vivere tante vite e tanti pensieri che non sono i miei eppure mi appartengono. Io alla mia vita non cambierei niente. Apro tutte e due le mani, dieci. Dieci è il voto alla mia vita.

 

La prima volta che con la Giuli abbiamo assaggiato i cannoli siciliani, quasi ci veniva da piangere. Eravamo in giro col camper qualche anno fa. Non ci sembrava vero che la ricotta potesse stare così bene in un dolce che ci scendevano le lacrime dagli occhi. Come abbiamo fatto a scoprirli così tardi? Abbiamo dovuto aspettare di diventare vecchi per conoscere i cannoli. Abbiamo dovuto aspettare di incontrare Ernesto per renderci conto di che bella vita abbiamo vissuto.

 

 

Andrea, sta salendo di nuovo la febbre.

38 di temperatura.

Gli antibiotici non stanno più funzionando.

Il test del covid è sempre negativo.

Le facciamo un’altra lastra per vedere come va la pleurite.

 

 

Giuli, amore. Io ti parlo con la mente, tu mi senti? Sono stanco, Giuli, mi sembra di diventare sempre più piccolo. Vorrei fosse estate, stendermi nell’amaca tesa in mezzo ai due faggi della casa in montagna, i faggi che mio padre ha piantato quando sono nati i nostri figli. Stiracchiarmi un po’ e poi rannicchiarmi, sono al sicuro, in mezzo ai nostri figli. Il venticello che mi carezza la pelle, sfiora il volto, muove le foglie in un fruscio. Ffffffffffff. Quel vento sei tu, che mi riempi di carezze, come non hai mai smesso di fare in questi anni nonostante Ernesto. Come hai fatto la prima volta che ci siamo conosciuti nei circoli dell’Università.

Fffffffff. Quando sono venuto per la prima volta nella tua mansardina, quella che affacciava su Piazza Vittorio. La prima volta che mi hai fatto una carezza, mi hai dato un bacio. Quella volta che mi hai sorriso e che ho capito che ero stato proprio fortunato, che eri tu il mio amore, quell’amore di tutta una vita. Con te ho capito che si poteva vivere in modo diverso, che non dovevamo essere sincronizzati in tutto, che si potevano fare piccole follie, non si doveva solo lavorare come mi hanno insegnato mio padre e mia madre e tutti i valdesi prima di loro. Che faticare aveva senso se poi ci fosse stato un bel nido in cui tornare e del nido ci saremmo presi cura insieme. Che potevo uscire dalla mia pelle di orso ed entrare nella tua di margherita.

L’abbiamo insegnato, l’amore, ai figli?

Andrea, sono io, la Giuli. Mi senti?

Ecco mi avvicino.

Con questa mascherina non posso neanche sentire il tuo odore o darti dei baci, amore mio, ma è per stare sicuri, non voglio mica attaccarti schifezze.

Come sei stanco, ti pulisco un po’ le labbra.

C’è questa crosticina.

Andrea, guardami.

 

Giuli, sì, ci sono.

Stavo tenendo da parte un po’ di forza per te.

Lo sapevo che tornavi.

 

Ci manchi tanto.

Hai tanta febbre, sei caldo.

Sembri così stanco, amore, chiudi un po’ gli occhi.

Ti lacrimano.

 

Io chiudo gli occhi, tu non smettere di accarezzarmi.  

 

Non so perché si è rialzata la febbre.

I dottori dicono che la pleurite non è peggiorata.

Andrea, che succede?

Non vuoi tornare a casa?

Mi avevano detto che saresti potuto tornare, ancora pochi giorni, ma sei ancora qui.

Hai di nuovo la febbre, non capisco.

Mi canti qualcosa? Ce la fai?

Canto io qualcosa per te, tu mi vieni dietro.

 

Correva l'altro treno ignaro e quasi senza fretta,

Nessuno immaginava di andare verso la vendetta,

Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:

"Notizia di emergenza, agite con urgenza,

Un pazzo si è lanciato contro al treno,

Un pazzo si è lanciato contro al treno,

Un pazzo si è lanciato contro al treno...

 

L’hai cantata tutta questa canzone, un anno fa, a Natale.

Ti ricordi?

Ci piacevano Guccini, De Andrè, i Pink Floyd...

Vuoi ascoltare un po’ di musica?

Ti metto l’auricolare.

 

Un pazzo si è lanciato contro al treno.

 

 

Non so se questo pazzo sono io o è Ernesto. Chi dei due si è lanciato contro l’altro. Nella canzone, il treno impazzito viene deviato su una linea morta. Questa linea di ospedale, dove mi trovo ad aspettare e non riconosco più i giorni, non c’è più neanche la nostra piccola routine. Tu che ti svegli prima di me e fai colazione, che nella vita prima di Ernesto sarebbe stato impossibile, ero sempre in piedi all’alba. Poi vieni da me, alzi un po’ la tapparella, mi tiri su, mi lavi. Mi accendi l’audiolibro, mi concentro, ascolto. Poi arriva Matt a fare un saluto, lui lavora in soggiorno al pc, mi fa alzare e mi mette sulla poltrona vicino a lui. Pranzate, mi metto in cucina vicino a voi, sulla mia poltrona king. Chiama Luca in video, parlate, sento le vostre voci. Parlami, Giuli, e stringimi. Perché qui sto sempre da solo, perdo la dimensione di me e della nostra vita, ho paura di dimenticarti.

 

 

Facciamo la videochiamata?

 

I ragazzi, voglio sentire i ragazzi.

Occhi, apro grande.

 

Ecco Matt, Luca.

Il papà è tanto stanco, sì.

L’altro giorno sembrava meglio, lo so.

Non dite niente ai nonni, per adesso.

I tuoi genitori ti salutano, Andrea.

Adesso sto un po’ con lui, lo abbraccio finché non mi cacciano via.

 

Abbracciami abbracciami Giuli. Così ti sento.

Sento il calore del tuo corpo, l’odore della vita fuori di qui.

 

 

Ha la febbre a 40.

Signora, la chiamo per dirle che suo marito probabilmente non sopravviverà.

Si è alzata improvvisamente la febbre, ora sembra privo di conoscenza, non risponde. 

Sono l’anestesista, nelle sue condizioni non posso intubarlo.

Sarebbe accanimento terapeutico.

Adesso, le assicuro, non sta soffrendo.

 

E intanto corre corre corre sempre più forte

E corre corre corre corre verso la morte

E niente ormai può trattenere l’immensa forza distruttrice,

Aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto

Della grande consolatrice,

Della grande consolatrice,

Della grande consolatrice...

 

Mi spostano, sento che spostano il letto.

 

 

Signora, suo marito ha il covid.

Lo spostiamo di reparto.

 

Covid. Fate il tampone alla Giuli, è stata qui, accanto a me!

Giuli, Giuli, non ti ammalare.

 

Sì, signora.

Deve chiamare il medico di base e farsi prenotare un tampone molecolare.

Sì, proprio così, ci sono stati casi positivi in reparto.

Mi raccomando, adesso è in quarantena.

Non può vedere nessuno, né uscire, deve stare isolata per evitare eventuali contagi.

Andrea ha gli occhi aperti, respira, ma difficilmente sopravviverà.

 

 

Giuli, Matt, Luca, la mamma, il papà, il Beppe, la Eli… gli amici di una vita, i viaggi.

Il lavoro che ho finito.

Ernesto.

 

Morfina.

 

 

Corro corro corro sempre più forte. Corro per questa montagna, salgo, c’è la Giuli, ci sono Matt, Luca, il Beppe. Corriamo su come antilopi. Poi c’è un pezzettino da arrampicare, si cammina sulla cresta. Attenta a non cadere, Giuli, che da vecchia hai iniziato ad avere le vertigini. Ma non sei vecchia, non porti più i segni della stanchezza di questa vita con Ernesto. Che bella la mia Giuli, il mio fiore.

Ernesto non c’è più, ci sono solo io, Andrea, e voi, le persone della mia vita. Sono felice. Felice felice felice. Il voto alla mia vita è dieci, con le mani spalancate, verso il cielo.

Lo dico a Dio, lo dico a tutti: dieci!

 

 

Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore

Mentre fa correr via la macchina a vapore

E che ci giunga un giorno ancora la notizia

Di una locomotiva, come una cosa viva,

Lanciata a bomba contro l’ingiustizia,

Lanciata a bomba contro l'ingiustizia,

Lanciata a bomba contro l'ingiustizia!

 

 

 

Nevica, sulle spalle gobbe del tempo

Tutto ciò che possiamo fare è accompagnare

Come in una danza, seguire il passo

Della vita che va incontro alla sua fine

E ci ricorda il ritmo della presenza

su questo mondo, mortale.