Kelly, o dell'odio

Kelly, o dell'odio

* Il testo è un remake del racconto “La figlia di Albione” di Anton Čechov

Il camion è andato fuori strada e ha centrato in pieno un furgone. Al volante c’era una donna di quarantaquattro anni, una coltivatrice; stava trasportando un maiale per il mercato stagionale. La donna versa ora in gravi condizioni, è probabile che  –

Saverio spegne il motore. È in ritardo di due ore quando esce dalla sua BMW. Si è perso, per arrivare in quel buco di culo della campagna, lontano chilometri dal centro abitato più vicino. Omero si crede un Bergman sulla sua Fårö, o almeno fa di tutto per restituire quell’idea.

Il cancello è aperto, tipico dell’ipocrita sistema simbolico di Omero, entrate tutti. Mangiatene tutti.

Saverio sente già la mancanza dell’aria condizionata, oltrepassa il cancello e si accorge di una macchiolina marrone sui pantaloni beige. La sfrega con l’unghia, senza riuscire a intaccarla.

Quando alza gli occhi, asciugandosi il sudore con la manica della giacca, scorge un uomo che attraversa il giardino. “Ehi! Sono qui per Omero. Mi aspetta.” L’uomo – ora che lo vede più da vicino, è un ragazzo sui vent’anni, dalla pelle scura e la t-shirt schiarita dal sole – incrina appena le labbra e gli indica un punto vago, oltre la villa. Saverio si spazientisce: “Cosa? Cosa vuoi dire?” “Il signore è a pesca con Kelly.” “Ah. E Amelia?” Il ragazzo, voltato per andarsene, risponde cantilenando che “La signora e i bambini sono in vacanza”. Saverio sorride d’istinto, ma certo, in vacanza, sempre in vacanza Amelia labbra di pesca, seno di mango, Amelia da copertina che di sicuro non muore dalla voglia di aprire le sue candide cosce davanti al bassoventre di Omero. Terza moglie, terzo uccellino che si dimena per uscire dalla gabbia. È buono solo a mantenerle, pensa Saverio fra sé, non senza soddisfazione.

Anche la porta della villa è aperta, venite, venite, gli sembra quasi di sentirlo. L’ampio atrio è deserto e, a parte due gigantografie che ritraggono Amelia in pose languide, non c’è traccia della famiglia. Un gatto dalla faccia schiacciata lo fissa con sdegno. “Cosa guardi bestia” sussurra Saverio. A Omero non frega un cazzo degli animali come non frega un cazzo di molte altre cose. Ma è un’amicizia divertente. E utile. Saverio ha una propostina di film per la televisione che Omero potrebbe far decollare, con i suoi contatti, la sua risata, i suoi palmi che si allungano a abbracciare spalle, stringere mani, strizzare coglioni.

Ma ora dove si è cacciato? A pesca? Veramente sulla terra c’è ancora qualcuno che pesca? Queste cose gli danno sui nervi. Ora gli toccherà cercarlo. Deve esserci un fiumiciattolo, da qualche parte. Ci è stato, un paio di volte, con Omero.

Oltre le ampie vetrate intravede la maglietta rossa del ragazzo, fermo sotto a un albero a mangiare un frutto.

Con poca convinzione, si addentra nel parco, verso la parte opposta rispetto al cancello di ingresso. L’erba è alta, probabilmente un altro vezzo di Omero a cui i soldi per il giardiniere non mancano.

Alcuni insetti saltano da un filo all’altro, lo infastidiscono. Con un piede schiaccia una carnosa cavalletta appostata su un masso proprio lungo il suo passaggio.

A pesca con Kelly, quindi. Non si vedono da quasi un anno ma più volte nelle sue e-mail o nei suoi brevi messaggi Omero ha fatto allusione a questa Kelly, la sua nuova assistente che sembra avergli cambiato la vita. A quanto si dice, i due vivono un rapporto di lavoro simbiotico. Lei è una giovane australiana, vincitrice di un importante premio di sceneggiatura. Omero, nei suoi messaggi, gli ha parlato di lei più che di Amelia o dei figli. Gli ha scritto: Non saprei come fare senza di lei. Mi aiuta. Ha delle idee. Da un anno, la sua linfa creativa di regista sessantenne è esplosa di nuovo. Le vergini sinapsi di Kelly hanno fatto scintille, illuminando una carriera altrimenti destinata al declino. All’uscita del suo ultimo film, i critici avevano affilato i denti ma l’establishment del mondo del cinema, di cui Omero stesso era un esponente, era riuscito a salvarlo. Tuttavia, una Kelly che avesse idee e che scrivesse si era resa indispensabile. In una mail entusiastica, l’aveva definita una nuova Alma Reville, aveva gridato al genio, poi però, pian piano, aveva iniziato a dare segni di insofferenza: A volte non la sopporto. Anzi, la detesto. Quella stupida continua a scrivere il suo romanzo per darmi sui nervi. Chissà che romanzo, poi! Quello che Saverio non capisce è come faccia Omero a tenersela così vicina, in casa addirittura.

Saverio percepisce un rumore di acqua che scorre e prosegue da quella parte, rincuorato dall’aver azzeccato la direzione giusta. Tuttavia, non ci sono voci nell’aria, neanche uno scambio di monosillabi. Per non turbare i pesci?

Infine li vede. Il suo amico ha un aspetto peggiore di quanto ricordasse. La stazza lardosa è sovrastata da un testone tondo che ricorda un fumetto. Indossa un caftano bianco che gli lascia scoperte le gambette cotte dal sole. E di fianco a lui, eccola lì, la ragazza. Saverio non immaginava certo di trovarsi davanti una bellezza: dalle foto dei paparazzi ne aveva intravisto la timida presenza; sempre un passo dietro agli altri, abiti seriosi, accollati, a maniche lunghe, mimetizzati sullo sfondo. Un cespuglio di capelli neri e disordinati. Dal vivo però gli sembra non più solo insignificante ma addirittura sgradevole. La figura sottile è insaccata in un lungo abito grigio che la fascia mettendo in risalto il corpo arcuato come quello di un gambero. Appena Saverio si fa avanti, lei gli punta addosso quel suo il naso a uncino e i piccoli occhi neri.

L’uomo e la ragazza reggono entrambi una lenza, immobili e immersi in un silenzio lugubre in contrasto con la calura e il sole a picco.

“Sei arrivato!” gli grida Omero, e muove qualche passo verso di lui. La sua faccia è invecchiata più che mai. Saverio saluta entrambi ma la ragazza non risponde. I due uomini si scambiano uno sguardo: “Eccola, la famosa assistente!” commenta Saverio, sforzandosi di sorridere. Omero fa un gesto di fastidio: “Ah ma per poco, per poco. La sceneggiatura del nuovo film è quasi finita. Dopo le pagherò delle ferie. Non ce la faccio più a trovarmela davanti agli occhi. È brutta, vero?” Saverio si sente in dovere di zittirlo: “Ma che dici? Così, davanti a lei?” Omero ride: “In Italia da tre anni e ancora non capisce un cazzo. Ti sembra una forma di intelligenza?” Saverio si guarda intorno, ha sete: “Che ne dici di rientrare? Qui si crepa.” Kelly sposta gli occhi sullo scorrere monotono della corrente. “No, aspetta un momento. Voglio prendere qualcosa. Tu sei in ritardo.” Saverio calcia un sassolino con la punta della scarpa: “Non ci sono cartelli da queste parti e il gps è impazzito. Un camion è uscito di strada e ha investito una donna poco lontano da qui, lo hanno detto alla radio.” Omero non dà segno di essere colpito dalla notizia: “Allora, adesso che la vedi cosa ne pensi? Guardale il naso. Solo il naso può farti diventare pazzo. Non riesco a smettere di fissarglielo. Lei se ne accorge ma non le interessa. E questo mi fa impazzire ancora di più!” Saverio: “E Amelia?” L’altro fa un passo sulla ghiaia sdruccevole: “Scappa appena ci riesce. Non le va per niente a genio, sai?” Saverio scruta il fiume: “Siete sicuri che ci siano pesci, là dentro?” “Lei” Omero le punta il dito addosso, “ne ha preso uno. L’altra volta ne ha preso uno. E ora ne voglio prendere uno anch’io.” Saverio si avvicina alla ragazza e sbircia dentro al suo secchio. Un sottile pesce argentato boccheggia penosamente. “E sai poi cosa fa?” Saverio vorrebbe andarsene, il sudore gli cola lungo la schiena, non gliene frega un cazzo dei pesci, pensa a una nuova frase per convincerlo a rientrare. “Se lo mangia. Lei se lo mangia il pesce che ha pescato. Segno che è pazza. Tu lo mangeresti mai? L’acqua è piena di scarichi industriali. E quando si mette a spolpare un pesce sembra un diavolo.” “Ma sicuro che non capisce?” “No, non capisce, quella la schifosa. Se ti avvicini sentirai che puzza. Non se lo cambia mai quel vestito.” “E tu sputaci sopra. Andiamo a bere qualcosa dentro. Ho una propostina di cui ti voglio parlare…” L’afa è insopportabile e dal fiume proviene un disgustoso lezzo di marciume. Omero però non molla: “Tu lo impareresti l’italiano? Certo che lo impareresti! Lei no, lei non ci pensa neppure. E sai perché? Si sente superiore. Le facciamo schifo, io, Amelia, tu, questo posto, tutto. Ci disprezza.” Sgrana gli occhi, tira la lenza fuori dall’acqua ma all’amo è appesa solo un’alga marrone. Lo ributta nel fiume. “Di’, te la ricordi Eva?”

Nell’afa asfissiante a Saverio viene in mente che prima di Kelly Omero aveva avuto un’assistente, non proprio una sceneggiatrice, più che altro una specie di stenografa, bionda, piccolina, erano passati anni. L’aveva quasi dimenticata. “Beh, lei era meglio, era più delicata. Sapeva cucinare. Nelle ore che si passano al tavolo, sai. Scrivere, riscrivere. Lei a un certo punto si alzava e mi sfornava un bel piatto di pasta, la piccola Eva. Brava, onesta. Con due tettine sode così. Bella e buona.” Saverio si vede costretto a seguire il discorso nella speranza di portarlo a un punto. “Perché l’hai mandata via allora?” Omero fa un mezzo sorriso colpevole, storcendo la bocca e gonfiando le guance scarlatte: “Non aveva senso dell’umorismo. Quelle tettine, una strizzatina. Se l’è presa. A Roma invece mi hanno detto che si fa strizzare alla grande dal nostro amico Macchiori. Ecco come fanno carriera.” Saverio si sforza di ridere. Omero prosegue: “E ora devo accontentarmi di Kelly la rana, Kelly la scema, Kelly la pidocchiosa palla al piede. Brutta, frigida, priva di empatia nei miei confronti.” Kelly si volta e li fissa con una scintilla di sfida negli occhi. Li guarda. Hanno in media trent’anni in più, chili in più sul ventre, peli in più sulle braccia, migliaia di euro in più sul conto in banca.

Two men. So similar to each other. Fat. Old. Ugly. Rich. I hear what you say, I understand it. You make me sick. You are the cancer of the world. You are the burden that suffocates the earth. You take, you eat, you give orders, you judge, you undress me with your eyes. Two men, animals. I hate you. Your smooth bellies, your infertile wombs. I imagine piercing them with a gigantic hook and lifting them in the air, as I did with that fish, letting you wiggle in midair. See you suffering. Nothing makes sense. I hate you.

 

[Due uomini. Così simili l’uno all’altro. Grassi. Vecchi. Brutti. Ricchi. Sento quello che dite, lo capisco. Mi fate schifo. Siete il tumore del mondo. Siete il peso che soffoca la terra. Prendete, mangiate, dominate, giudicate, mi spogliate con gli occhi. Due uomini, animali. Io vi detesto. Le vostre pance lisce, i vostri ventri infecondi. Immagino di bucarli con un amo gigantesco e di sollevarli in aria, come ho fatto con quel pesce, lasciarvi dimenare a mezz’aria. Vedervi soffrire. Niente ha senso. Io vi odio.]

“Ma perché resta qui?” Saverio è sfinito. “Perché le piace! Gode! Sa che non posso fare a meno di lei. È lei a tenere in vita il mio lavoro, la mia arte. Lo ammetto. Ma il prezzo è questa tortura. Anziché essere felice di lavorare con me, anziché essere onorata, dodici film amico mio ho fatto, dodici, mi sta rovinando la vita. Poi si vanta di scrivere un romanzo, un romanzo tutto suo, te l’ho detto?” Saverio ora vede che la ragazza sorride senza felicità né simpatia, sorride scoprendo i denti. Le sue labbra sono lisce e informi, grigie.

“Cazzo”, urla Omero tirando la lenza, “si è impigliato sul fondo. Mi tocca andarlo a prendere.” Saverio fa un passo verso di lui. “Lascia perdere. Andiamocene.” Omero si avvicina all’acqua: “Eh no! Sai quanto riderebbe di me? Non voglio farla vincere! Dille di andarsene o di guardare da un’altra parte. Devo spogliarmi.” Si sfila i sandali e inizia a farle dei gesti, muovendo forsennatamente le braccia, “Vattene! Girati, cazzo!” Lei rimane immobile, guardandoli con occhi che si fanno sempre più piccoli.

“Fanculo” sospira Omero sfilandosi il caftano sudato e scoprendo un ventre abnorme ricoperto di chiazze, peluria sudata, nei e piccole cisti, “Stronza maledetta.” “Animale! Davanti a lei!” commenta Saverio ridendo. Sul viso di Kelly passa un’ombra di derisione e disgusto. Nudo, Omero fa pensare a un suino che cerchi di reggersi sulle zampe posteriori.

Si tuffa per recuperare l’amo, gridando: “Brrr brrrr! Freddo! Acqua fetida cazzo!” Poi, a Kelly che continua a guardarlo: “Diavolo! Cosa fissi? Ti caccio domani.” A un certo punto, molto velocemente e senza preavviso, il suo testone tondo scivola sott’acqua. Saverio fa appena in tempo a intravedere un’espressione di sorpresa e terrore dipingerglisi sul faccione. Corre verso la riva e si mette a chiamarlo. Poi a Kelly: “Bisogna fare qualcosa! Cazzo, qualcosa!”

Lei non dice nulla.

Saverio si avvicina alla riva ma quando vede l’acqua bagnare la punta dei mocassini si ferma. Acqua di merda, fiume di merda. Cerca di localizzare Omero. La sua testa tonda riemerge per un istante diversi metri più avanti, trascinata dalla corrente, per poi scomparire di nuovo. Saverio compone il numero di emergenza, ma non c’è campo. Si volta verso la ragazza: “Tu hai un telefono? Ce l’hai? Call? Phone? Rispondi cazzo!” Lei non dice nulla, resta immobile a guardare il fiume. Saverio grida il nome di Omero a ripetizione, inutilmente, fino a sgolarsi. Torna sulla riva, immerge i piedi nell’acqua, fa qualche passo. Grida ancora. Omero è andato. Non riesce più a vederlo. Come cazzo è potuto succedere, come cazzo –

Torna indietro. La ragazza è ancora ferma con la lenza in mano, una virgola grigia sotto il sole a picco. Lo fissa e Saverio si sente invaso dallo sgomento. Si guarda intorno, non c’è nessuno, la villa dista almeno dieci minuti a piedi. Con quel cazzo di caldo si fatica a respirare. Grida ancora: “Omero! Omero!” Più a se stesso e al cielo bianco d’agosto che all’amico, scivolato sotto metri d’acqua torbida, perso chissà dove. Il suo corpo rosa e inerme trascinato via dalla corrente. Grida ancora: “Omero!”

Le vede. Le labbra di Kelly sorridono, due vermi umidi come esche da pesca: “Fuck you.” I suoi occhi sono chiodi.