PARTITUREMattia Alari

Shirley Temple

PARTITUREMattia Alari
Shirley Temple

Era un cestino d’ossa, la bambina.

Chiara come la madre, con il viso ovale senza un errore e con gli occhi nocciola, che erano invece di qualcun altro.

Avevano il tono fisso del tavolo di legno della stanza, quello con lo spigolo ammaccato. Non lo aveva notato prima, ma forse le sue iridi cambiavano con la luce. Non succedeva solo agli occhi chiari e lo sapeva bene e forse gli occhi scuri gli piacevano di più, poi dipendeva da caso a caso.
C’era un po’ del solito disordine in giro e toccava mettere a posto, ma intanto si voltava a guardarla o si avvicinava a lei. Era sul tappeto rosso. E fuori un caldo infernale che faceva puzzare di polvere ogni cosa, anche dentro una casa pulita.

La sua non lo era. Sapeva di disinfettante al profumo di limone e le piastrelle dei bagni e della cucina erano perfettamente sgrassate, prive di patina alcuna. Ma a terra c’era spesso sporcizia. E così nel water e nei lavandini.

Davanti al televisore acceso, un piatto fondo con un boccone in sospeso, rosso di sugo.
Lei non aveva voluto mangiare. Non c’era stato verso e succedeva quasi sempre.
Eppure preparava tutto per il meglio. Faceva le polpette al pomodoro, molli e facili da masticare, le patatine fritte, i dolci. Ma i bambini non mangiavano. I cucchiai sulla tovaglia restavano grigi e puliti e grigie anche le tovaglie che si dimenticava sul tavolo della sala da pranzo e toglieva solo dopo settimane. Lui mangiava davanti alla tv, sul tavolino il cui spigolo era ora ammaccato.
La bambina aveva circa cinque anni.

La madre doveva essere stata bellissima, da bambina. Peccato. Ma la figlia aveva qualcosa di lei e avrebbe potuto lavorarci. I ricci erano molto belli, chiari ma non abbastanza.
Li voleva biondi e non lo erano.

Aveva strillato molto quando le aveva versato l’acqua ossigenata in testa e l’aveva tenuta ferma mentre l’odore diventava sempre più pungente e bruciava tutto. Aveva provato a consolarla, ma era stato più efficace metterle in bocca una grossa caramella che non poteva inghiottire ma solo succhiare.

Faceva anche quelle, per i bambini. Alla fragola, che doveva piacere a tutti. Giusta misura perché non soffocassero. Il più delle volte.

I capelli della bambina ancora puzzavano, anche dopo averglieli lavati tre volte. Erano diventati duri, crespi, spenti, il riccio più fitto. Il cuoio capelluto si era irritato, diventando rosso.
Nuda, non era come si aspettava e pensò che sua madre doveva essere stata molto meglio, da bambina. Lavandola aveva notato che sul corpo aveva morsi di zanzara fastidiosi da vedere e il cerone non era bastato a coprire le piccole gobbe delle punture sulla pelle, che non era liscia e morbida come avrebbe voluto. Anche se alla fine, con quel bel vestitino addosso, sembrava una bambola. Se non la si toccava troppo.
Ma a lui piaceva toccarla, la bambina. E visto che non era stata ferma, mentre cercava di essere gentile sul tappeto, le aveva sbattuto la testa contro lo spigolo del tavolino su cui restava il piatto bianco con il boccone abbandonato nei residui di sugo. Dopo, era stata molto più carina (se non la si guardava da dietro) ed era sicuro che le fosse anche piaciuto fare la grande.

Il tappeto era del rosso del pomodoro ormai, prima era bianco e blu.

La bambina lo guardava fisso da un’ora.

Forse era il caso di prendere gli attrezzi e l’occorrente per dare una ripulita. Poi avrebbe scaricato tutto il superfluo nel gabinetto e nel lavandino, gonfiato un cuscino di altra paglia d’angelo e avrebbe fatto altre polpette al sugo. Usava una carne così tenera e grassa che proprio non capiva perché i bambini, che in genere amavano le polpette, non le mangiassero.

La bambina era un cestino d’ossa. Non aveva la pancia rotonda, non aveva le cosce morbide e aveva scricchiolato troppo, mentre le stava sopra. Non gli era piaciuto quel suono, l’aveva disturbato. E aveva dovuto cominciare tutto da capo due volte, prima di finire.

La tv era ancora sui cartoni animati, era sempre sui cartoni animati.

Adesso era sicuro che gli occhi marroni stessero cambiando colore.

Non erano della madre, non sapeva di chi fossero.

Sua madre però doveva essere stata bellissima, da piccola. Identica a Shirley Temple.
Un vero peccato che fosse cresciuta.